PERCHÈ REGISTRARE UN MARCHIO

PERCHÈ REGISTRARE UN MARCHIO

Quando avete un progetto, un’idea o un disegno per qualcosa, è altamente consigliato registrarlo. In fin dei conti, un marchio è ciò che distingue un prodotto o un servizio dalla concorrenza.

Registrando un marchio, l’imprenditore ottiene il diritto esclusivo di utilizzarlo e, allo stesso tempo, di impedire ad altri di usare quel segno per offrire un prodotto o un servizio simile. Ciò contribuisce anche a evitare la confusione agli occhi dei potenziali consumatori…

Se un imprenditore non registra correttamente il proprio marchio, tutti gli investimenti che effettua per commercializzare il proprio prodotto o servizio possono risultare infruttuosi, poiché i suoi concorrenti possono utilizzare lo stesso marchio o un marchio simile, che i consumatori potrebbero acquistare. Pertanto, si perderanno opportunità commerciali, non si riuscirà a raggiungere il proprio pubblico di riferimento e si avrà una cattiva reputazione e immagine.

Per questo la registrazione di un marchio servirá per i seguenti motivi:

  1. È una garanzia che i loro prodotti o servizi si distingueranno sul mercato.
  2. Ha un effetto differenziante.
  3. Favorisce una buona immagine e reputazione.
  4. Può essere oggetto di licenza.
  5. È essenziale per eventuali accordi di franchising.
  6. È un primo passo per ottenere finanziamenti.
  7. Promuove il mantenimento e il miglioramento della qualità del prodotto o del servizio.
  8. È un bene commerciale.

Pertanto, le idee imprenditoriali devono essere registrate per poterle sfruttare nel modo più efficiente e redditizio.

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METAVERSO: HERMES VINCE LA PRIMA CAUSA PER NFT

METAVERSO: HERMES VINCE LA PRIMA CAUSA PER NFT

Il famoso marchio di lusso Hermès ha citato in giudizio l’artista Mason Rothschild per aver commercializzato la collezione di NFT «MetaBirkins», che riproduceva diverse edizioni della celebre borsa «Birkin» del marchio nel Metaverso.

Nel dicembre 2021, la convenuta ha messo in vendita una collezione di Metabirkin sulle piattaforme di scambio di NFT. Vista la mancata risposta alle richieste di cessazione e desistenza inviate da Hermès, quest’ultima ha deciso di intraprendere un’azione legale. Hermès sosteneva che il sig. Rothschild approfittava impropriamente della fama della sua iconica borsa in pelle facendo un uso non autorizzato sia del marchio registrato «Hermès» sia del marchio tridimensionale costituito dalla forma della borsa Birkin in modo tale da creare confusione nei consumatori. I consumatori, a causa dell’innegabile somiglianza dell’aspetto delle Metabirkin e del modello Birkin, potrebbero erroneamente associare le NFT commercializzate dalla convenuta al prestigioso marchio francese.

In conclusione il tribunale di Manhattan ha stabilito che le leggi sulla proprietà intellettuale, e quindi il copyright di Hermès, sono applicabili in questi casi, dettando una sentenza única. Pertanto, le borse e i disegni del marchio sono protetti da copyright. La giuria ha inoltre stabilito che tale commercializzazione potrebbe generare confusione nei consumatori, che collegherebbero la collezione «MetaBirkins» a Hermès.

Per concludere i tribunali hanno stabilito un criterio chiaro: la commercializzazione di un prodotto nel metaverso deve rispettare i diritti di proprietà intellettuale e industriale come se si trattasse di un prodotto fisico.

IL CASO ZORRO E IL DIRITTO D’AUTORE

IL CASO ZORRO E IL DIRITTO D’AUTORE

La societá statunitense titolare del diritto di sfruttamento economico del personaggio di Zorro nonché dei marchi denominativi e figurativi incentrati sulla detta figura letteraria ha lamentato che la parte contraria avesse commissionato uno spot televisivo in cui il personaggio in questione pubblicizzava l’acqua minerale Brio Blu travestito da Zorro così violando i richiamati diritti di proprietà intellettuale facenti capo alla stessa. Ha quindi rivendicato il diritto d’autore sul nome e sul personaggio di Zorro, richiedendo il riconoscimento dell’intervenuta violazione dei diritti in questione, nonché di accertare la confondibilità e la capacità di sviamento e di induzione in errore dello spot pubblicitario in danno di essa istante e di dichiarare illegittimo l’uso, nonché l’illiceità dei benefici dalla stessa convenuta conseguiti con lo sfruttamento posto in essere con riferimento ad un nome e ad un marchio di particolare fama e rinomanza, per ultimo ha richiesto di condannare la convenuta al risarcimento del danno, da quantificare nella somma di Euro 200.000,00, salvo altra, e di ordinare l’immediata cessazione della messa in onda dello spot pubblicitario, nonché di ordinare la pubblicazione su tre quotidiani a diffusione nazionale di un messaggio riparatore.

Il Tribunale di Roma ha pronunciato sentenza non definitiva con cui ha dichiarato che la convenuta aveva violato i diritti di privativa fatti valere tramite la diffusione, nell’anno 2007, per televisione e in via radiofonica, della campagna pubblicitaria dell’acqua minerale Brio Blu.

Il procedimento continua in cassazione e la Corte ha emesso una ordinanza riguardante l’utilizzo della parodia del personaggio di fantasia Zorro stabilendo che la parodia di Zorro è lecita e senza vincoli, in quanto rientra nella libera manifestazione del pensiero. Tuttavia, c’è un limite alla libertà: l’indebito vantaggio tratto dall’uso, anche “caricaturale”, del giustiziere nero.

Per questo la Corte di Cassazione ha stabilito che la parodia è lecita a condizione che non ci sia un indebito vantaggio. Se il personaggio viene usato senza ottenere un giusto ritorno economico, la società statunitense ha il diritto di chiedere il pagamento delle royalties valide fino a 70 anni dalla morte dell’autore. La Corte ha inoltre stabilito che la parodia non può arrecare danno al marchio originale o all’autore, né può pregiudicare i suoi interessi economici. La sentenza della Corte di Cassazione ha dunque definito i limiti della parodia, stabilendo che l’uso del personaggio deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti dell’autore e la libertà di espressione.

Danimarca viola le norme UE esportando formaggio con il nome «Feta»

Danimarca viola le norme UE esportando formaggio con il nome «Feta»

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha concluso che la Danimarca ha violato gli obblighi previsti dal diritto dell’UE non avendo posto fine all’uso del nome «Feta» per il formaggio prodotto nel Paese e destinato all’esportazione in Paesi terzi..

Il caso è stato sottoposto alla Corte dell’UE dopo che la Commissione europea, sostenuta da Grecia e Cipro, ha sostenuto che la Danimarca ha violato gli obblighi previsti dal diritto dell’UE non impedendo e bloccando l’uso della denominazione «Feta» per il formaggio prodotto in Danimarca e destinato all’esportazione in Paesi terzi.

Tuttavia, la Danimarca ritiene che la legislazione si applichi solo ai prodotti venduti all’interno dell’Unione e non riguardi le esportazioni verso Paesi terzi.

La denominazione «Feta» è stata registrata come denominazione di origine protetta (DOP) nel 2002 e da allora può essere utilizzata solo per il formaggio originario della zona geografica delimitata della Grecia e nel rispetto delle condizioni applicabili a tale prodotto.

Nella sentenza menzionata la Corte di giustizia chiarisce, innanzitutto, che il regolamento del 2012 istituisce un sistema di denominazioni di origine protette e di indicazioni geografiche protette al fine di aiutare i produttori legati a un’area geografica, garantendo alle denominazioni di tali prodotti una protezione uniforme su tutto il territorio dell’Unione europea, come avviene per i diritti di proprietà intellettuale.

La decisione conferma quindi che l’uso non autorizzato di una denominazione di origine protetta non è consentito, sia che il prodotto sia venduto all’interno dell’Unione Europea sia che venga esportato in Paesi terzi.

COME PROTEGGERE LA PROPRIETÀ INDUSTRIALE NEL METAVERSO

COME PROTEGGERE LA PROPRIETÀ INDUSTRIALE NEL METAVERSO

In Spagna si è aperto da poco un dibattito su come difendere il proprio marchio nel Metaverso. È necessario infomare che già diverse aziende hanno iniziato ad avviare procedimenti giudiziali per plagio.

Il Centro de Estudios de la Asociación para la Defensa de la Marca spagnolo (Andema) e l’Ufficio spagnolo Brevetti e Marchi (SPTO) hanno presentato recentemente a Madrid un informe che analizza le applicazioni dell’intelligenza artificiale nella difesa dei marchi e dei diritti di proprietà industriale.

La studio fatto evidenzia che la Spagna può diventare una potenza mondiale nella tutela della propietà intelletuale, ma deve superare i suoi limiti tecnologici.

L’irruzione dell’intelligenza artificiale ha creato un nuovo problema nella difesa dei diritti di proprietà industriale, spaziando dai servizi disponibili in questo settore, come gli strumenti di sorveglianza o i meccanismi di protezione basati sulla tecnologia blockchain, fino alla tutela dei diritti nel metaverso o marchi di terza generazione e la tutela riguardo ai titolari di tali diritti, nel caso di avatar o robot.

Già diversi titolari di marchi stanno utilizzando l’intelligenza artificiale applicando i loro prodotti e popolarità nel metaverso, nella quale si realizzano esperienze interattive e innovative.

Recentemente, il marchio Hermes ha iniziato una causa legale contro un utente del metaverso per aver presumibilmente copiato la sua iconica borsa Birkin, apparsa in una di queste ricreazioni virtuali sotto il nome di Mertabirkins. Di conseguenza, gli esperti si chiedono se sia necessario ridefinire quale sia l’ambito di protezione dei marchi in questa nuova realtà.

Nella ricerca spagnola si è parlato inoltre di come l’intelligenza Artificiale influisca su tutto, non solo sul diritto, ma anche sull’economia, sulla scienza e sulla società.

A questo proposito, lo studio svolto evidenzia come la società stia già affrontando il problema dell’intelligenza artificiale come titolare di diritti di proprietà industriale. Queste sono solo alcune delle domande che sorgono: ci saranno opere d’arte senza titolarità, ne diritti? L’intelligenza artificiale può essere riconosciuta come co-autore? È possibile che le invenzioni esistano senza un inventore?

Tra le conclusioni più positive e meno preoccupanti dello studio c’è il fatto che la Spagna si è posizionata come Paese leader nell’applicazione di soluzioni di sorveglianza dell’intelligenza artificiale per la difesa della proprietà industriale. Allo stesso tempo, però, continua a confermare il limite tecnologico esistente della Spagna, che scende al 22° posto della classifica dei paesi per quanto riguarda l’origine dei brevetti di intelligenza artificiale.

Tra le barriere che impediscono l’uso di questa tecnologia per proteggere la proprietà industriale, spicca la mancanza di conoscenza, citata dal 50% degli intervistati, seguita dai costi (24%), dall’incertezza giuridica (16%) e dalla scarsa efficienza (7%). «La ricerca ci mostra che ci sono grandi opportunità in questo mercato, non coperte dai servizi disponibili, soprattutto nell’area della protezione dove le soluzioni non coprono nemmeno il 45% della domanda», ha dichiarato il direttore generale di Andema, Gerard Guiu.

Gli esperti sono concordi nell’affermare che la tendenza è quella di passare dai mezzi tradizionali, lenti, costosi e meno affidabili, a quelli automatizzati che offrono maggiore sicurezza, certezza, velocità e accessibilità.

SE I MARCHI COMUNITARI CESSANO DI ESSERE UTILIZZATI PER 5 ANNI CONSECUTIVI, DECADONO ANCHE SE SONO FAMOSI

SE I MARCHI COMUNITARI CESSANO DI ESSERE UTILIZZATI PER 5 ANNI CONSECUTIVI, DECADONO ANCHE SE SONO FAMOSI

Una recente decisione del Tribunale dell’Unione Europea ha dichiarato decaduto il famoso marchio dell’azienda americana Apple Inc. per mancato utilizzo:


 THINK DIFFERENT

Lo slogan del marchio è stato oggetto di una famosa campagna pubblicitaria di Apple Inc. lanciata nel 1997.

Nel 2016, la società svizzera Swatch AG ha presentato una domanda di decadenza per mancato uso del marchio Apple Inc.

Secondo il Tribunale, spettava alla Apple Inc. dimostrare davanti all’EUIPO l’uso effettivo di tali marchi per i prodotti in questione nei cinque anni precedenti il 14 ottobre 2016. Con i suoi ricorsi, Apple Inc. ha contestato la conclusione della commissione di ricorso secondo cui il pubblico di riferimento avrebbe facilmente trascurato le etichette sulla confezione dei computer iMac, etichette sulle quali erano stati apposti i marchi in questione.

Inoltre, il Tribunale respinge l’argomentazione di Apple secondo cui la commissione di ricorso avrebbe erroneamente omesso di prendere in considerazione i dati di vendita a livello dell’UE per i computer iMac presentati nella dichiarazione testimoniale del 23 marzo 2017. I conti annuali per gli anni 2009, 2010, 2013 e 2015 allegati a tale dichiarazione contengono solo dati sulle vendite nette di computer iMac a livello mondiale, ma non forniscono alcun dato relativo alle vendite di computer iMac nell’UE.

Sebbene Apple Inc. abbia dimostrato, nel corso del procedimento, di aver continuato a utilizzare il marchio THINK DIFFERENT sulle confezioni, la Corte ha ritenuto che ciò fosse insufficiente, in quanto la frase THINK DIFFERENT era raffigurata accanto alle specifiche tecniche dei prodotti Apple Inc. e appena sotto il codice a barre, in dimensioni molto ridotte, per cui non avrebbe attirato l’attenzione dei consumatori e non sarebbe stata quindi sufficiente per essere considerata indicativa dell’origine imprenditoriale dei prodotti.

Questa decisione illustra la grande difficoltà di proteggere marchi che sono diventati famosi ma il cui sfruttamento è cessato, rendendoli vulnerabili a un’azione di decadenza, anche se sono ancora vivi nella mente dei consumatori.

Ciò non impedisce, tuttavia, che l’uso da parte di un terzo di un marchio famoso decaduto per mancanza di uso sia considerato illecito ai sensi di altre norme, come la concorrenza sleale.

Il Tribunale osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Apple, le conclusioni della commissione di ricorso in merito al carattere distintivo dei marchi in questione non sono contraddette da un insieme di elementi di prova volti a dimostrare un uso effettivo di tali marchi. Se è vero che le prove dell’uso effettivo presentate all’EUIPO comprendono numerosi articoli di stampa che fanno riferimento al successo della campagna pubblicitaria intitolata «THINK DIFFERENT» quando è stata lanciata nel 1997, tali articoli sono stati pubblicati più di 10 anni prima dell’inizio del periodo rilevante. Il Tribunale ritiene che non vi sia alcuna violazione del diritto al contraddittorio nel caso di specie. Inoltre, secondo il Tribunale, la Commissione di ricorso ha fornito una base giuridica sufficiente per le decisioni impugnate per quanto riguarda la prova fornita dalla Apple di un uso effettivo dei marchi in questione.